Peppe Iannicelli — 10/06/2021

Villa delle Ginestre: panorama, rime e frittelle 

Apriamo le porte di Ville delle Ginestre sulle pendici del Vesuvio. La dimora di fine Seicento, adagiata sulle pendici del vulcano, ha avuto l’onore di ospitare gli ultimi mesi di vita di Giacomo Leopardi. Il poeta di Recanati, contemplando il magnifico panorama e gustando qualche frittella, trovò l’ispirazione per “La ginestra”, uno dei suoi canti più conosciuti.

La dimora del Canonico

Era di gran moda alla fine del Seicento “farsi la villa”. Aristocratici, ricchi mercanti, potenti canonici colonizzarono la fascia costiera a sud di Napoli e le pendici del Vesuvio. Una vera e propria gara urbanistica per aggiudicarsi la tenuta più rigogliosa, la posizione più amena e costruire anche dimore sfarzose in grado di mostrare al mondo intero la propria opulenza e il proprio potere.

Il canonico Giuseppe Simioli, giunto all’apice della carriera ecclesiastica, fece costruire la propria villa di campagna a metà strada tra la vetta del Vesuvio e la costa di Torre del Greco. Una posizione invidiabile, una dimora ambita per quella che si definiva “villeggiatura”: il trasferimento dalla caotica, calda, asfissiante Napoli alla villa nei mesi più torridi dell’anno.

Il religioso amava ospitare personaggi illustri. E in questa villa soggiornò anche Vanvitelli, al quale qualche studioso attribuisce la progettazione della scala che collega il primo al secondo piano della magione. Insomma, il canonico trovò il modo per rendere remunerativa la presenza del prestigioso ospite.

Lo sterminator Vesevo

A oscurare la fama dell’archistar borbonica nel libro degli ospiti illustri, giunse a Villa Ferrigni il casato dei nuovi proprietari, Giacomo Leopardi in compagnia dell’amico Antonio Ranieri. Il poeta si era stabilito a Napoli, dopo aver vissuto a Firenze e Roma, fin dal 1833. Gli amici speravano che il clima mite di Partenope potesse giovare alla cagionevole salute dell’autore di “A Silvia”. La tragica storia della fanciulla morta prematuramente commosse il mondo intero. La fama di Giacomo Leopardi era alle stelle, come le inquietudini creative di un personaggio così straordinario e tormentato. Leopardi s’immerse nel marasma di Napoli, che in quegli anni era una vivace capitale della cultura e della creatività. Frequentava gli eleganti salotti della “Minerva Napoletana”, della quale Giuseppe Ferrigni era animatore, ma al tempo stesso non disdegnava la familiarità con i popolani e le zone più oscure della città. Allo scoppio dell’epidemia di colera del 1836, vi fu il trasferimento definitivo nella villa alla pendici del Vesuvio, che Giacomo Leopardi nel suo Canto XXXIV descrive come lo sterminator Vesevo. La montagna incombente alle spalle dell’abitazione, la vista panoramica sul golfo di Napoli e l’isola di Capri, la campagna circostante invasa dalla tenace ginestra ispirano al poeta la composizione de “La ginestra”.

Odorata ginestra contenta dei deserti

Il profumo di ginestra invade ancora le stanze, i saloni, le terrazze frequentate da Giacomo Leopardi. Il poeta restava per ore, durante il giorno e la notte, a contemplare lo spettacolo della natura circostante. Il contrasto cromatico è spettacolare: il nero brillante della colata lavica consolidata nei secoli, l’azzurro intenso del mare, il giallo tenue del fiore del deserto (il sottotitolo del Canto XXXIV). Una tavolozza d’emozioni che scatena una delle ultime scintille creative di Leopardi. Versi immortali che riecheggiano in questo luogo magico.

Leopardi avverte che i suoi giorni stanno per finire. Sente tutta l’oppressione di una condizione esistenziale drammatica e il peso del destino tragico che incombe su ogni vivente. La ginestra di questa tensione lacerante è la metafora potente, il simbolo di una coraggiosa resilienza sino all’inevitabile epilogo scatenato dal Vesuvio e dalla sua energia sotterranea.

Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti.

Giacomo Leopardi

Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l’avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi.

Giacomo Leopardi

La lista della spesa del Poeta

Il 14 giugno 1837, pochi mesi dopo aver composto questi versi, Giacomo Leopardi moriva. La famiglia Ferrigni e i successivi proprietari, intuendo la fama duratura dell’illustre ospite, con molto lungimiranza ebbero cura di non alterare in modo significativo la struttura della villa, che cominciò a esser chiamata Villa delle Ginestre. Nel 1937, Re Vittorio Emanuele III lo proclamò Monumento Nazionale. Dal 1962 la proprietà è stata conferita all’Università Federico II e oggi l’immobile è curato dalla Fondazione Ente Ville Vesuviane.

Gli ambienti, il mobilio, gli oggetti personali del poeta sono stati custoditi con cura. Oggi il percorso guidato, arricchito da elementi multimediali audiovisivi, permette di scoprire anche le abitudini più singolari di Giacomo Leopardi e di comprenderne ancor meglio l’immensa poetica. Uno dei documenti più interessanti, il cui originale è custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, è certamente la lista della spesa che Giacomo Leopardi scrisse di proprio pugno per il cuoco Pasquale Ignarra, che la famiglia Ferrigni gli aveva messo a disposizione durante il soggiorno in villa: 49 pietanze delle quali egli era goloso. Leopardi, quando era immerso nello studio e nella scrittura, dimenticava il trascorrere delle ore. A un certo punto, però, gli veniva un languorino. Voleva mangiare a ogni ora del giorno e della notte. E il fuoco delle cucine era accesso h24 per soddisfare gli sfizi del letterato. L’autore de “La ginestra” amava molto sorbetti, gelati e confetti, budini e frittelle, bignè, gnocchi, frattaglie e maccheroni.

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